Amianto: il nemico invisibile
Cos’è l’amianto?
“Sostanzialmente l’amianto, o asbesto, è un minerale presente in natura che possiede una vasta gamma di caratteristiche, uniche nel loro genere, che sono state usate per molti anni in vario modo e in molteplici settori, per sfruttare appunto tutte queste doti di grande versatilità”.
Quali sono le sue caratteristiche principali?
“L’amianto, fra le sue molte qualità, è soprattutto fonoassorbente, ignifugo e coibentante. Pertanto, miscelato con altre fibre naturali, col cemento o a tessuti, forma un materiale dotato delle caratteristiche sopra elencate. Per decenni l’amianto è stato adoperato ad esempio sulle navi, per rivestire – o, come si dice, per coibentare – pareti e tubature. Inoltre, miscelato al cemento, ha dato vita al famoso eternit, creando una struttura rigida, solida, impermeabile e resistente alle temperature (visibile nei famosi tetti ondulati che erano assai di moda fino agli anni Novanta). Entrando a far parte della nostra normale vita quotidiana, l’eternit ha preso svariate forme: tubazioni, canne fumarie, cappe da cucina, scarichi piovani, fognature, ma anche quei fogli che venivano messi nelle cucine per proteggere il muro dal calore dietro i fornelli e le stufe. In seguito, per quest’ultima funzione domestica, soprattutto al fine di diminuire il fattore peso, si realizzò il cosiddetto “cartone amiantato”, miscelando cioè l’amianto con il cartone”.
Oltre agli esempi citati, dove si può trovare ancora l’amianto?
“Direi un po’ dappertutto, in vari oggetti e manufatti. Ad esempio, sulle facciate di numerose case. Negli anni passati, infatti, si usava ricoprire le pareti esterne di un immobile con un rivestimento amiantato per proteggersi dal vento, dal freddo e dal calore. Sono quelle famose facciate a nido d’ape che riguardano in particolare le pareti a nord-est, quelle esposte alla bora, di molte case di Trieste. Anche questa è una forma particolare di eternit, cioè una fusione di cemento-amianto; in questo caso, però, la presenza di amianto è molto bassa. Maggiore e più pericolosa, invece, è la sua presenza nelle coibentazioni delle caldaie o delle centrali termiche, dove questo materiale è stato usato per rivestire le tubature dell’acqua e degli impianti di condizionamento. È questo il caso dell’amianto “friabile” proprio perché, a seguito di un urto o di una sollecitazione esterna, tende a rompersi e sbriciolarsi rilasciando nell’aria una polvere finissima che è dannosa per la nostra salute. Ricordiamoci ancora che, fino alla normativa dei primi anni Novanta, l’amianto era contenuto anche nelle frizioni, nei tamburi, nelle testate dei motori e nelle pastiglie dei freni di tutte le autovetture e che quindi ad ogni frenata, ad esempio, essendoci uno sfregamento, venivano automaticamente disperse nell’aria fibre di amianto”.
Chi possiede del materiale in eternit (si pensi al tetto di un box) deve rimuoverlo?
“A tutt’oggi non c’è un obbligo preciso previsto dalla legge che ne imponga l’eliminazione, a meno che non sia particolarmente deteriorato o evidenzi danni fisici visibili, come quando ad esempio le tavelle di una parete sono mobili e possono staccarsi e cadere. In queste specifiche situazioni possono intervenire le autorità preposte (ASL, Vigili Urbani, Vigili del Fuoco) che decideranno se e come agire. L’intervento, infatti, può essere di due tipi: con un’operazione di messa in sicurezza (che francamente però non risolve il problema), la cosiddetta “inglobazione”, oppure la bonifica. L’inglobazione consiste nel dipingere la superficie in questione con uno specifico materiale di varie colorazioni, appunto inglobante, che viene steso sulla parte interessata rendendola solida e compatta; in tal modo, verrà bloccata la dispersione delle fibre tossiche nell’aria. Per quanto riguardo invece le tubazioni, si tende di solito ad intervenire con la bonifica completa, sostituendo cioè la parte interessata della tubatura. Operazioni di questo genere, di notevole complessità, vengono solitamente messe in atto nelle centrali termiche dove i rischi sono molto elevati”.
Claudio Bisiani