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Sammie Vasquez

Rilevante e complessa: le caratteristiche della cronicità

 |  luis

Dati dell’Organizzazione mondiale della sanità riferiscono che nel 2002 le malattie croniche sono state responsabili dell’87% dei decessi nei Paesi ad alto reddito, contro il 40% dei Paesi a basso reddito.

Considerate un tempo un problema riconducibile ai ricchi e agli anziani, oggi nei Paesi ad alto reddito colpiscono anche i poveri e i giovani, con importanti ricadute economiche sia nel pubblico sia nel privato. Si tratta di un ampio gruppo di malattie, che comprende le cardiopatie, l’ictus, il cancro, il diabete e le malattie respiratorie croniche. Ci sono poi anche le malattie mentali, i disturbi muscolo-scheletrici e dell’apparato gastrointestinale, i difetti della vista e dell’udito, le malattie genetiche.
In generale, sono malattie che hanno inizio in età giovanile ma che richiedono anche decenni prima di manifestarsi clinicamente. Dato il lungo decorso, necessitano sicuramente di un’assistenza a lungo termine, ma – le ricerche lo confermano – presentano diverse opportunità di prevenzione. Questo perché alla base delle principali malattie croniche ci sono fattori di rischio comuni e modificabili, come alimentazione poco sana, consumo di tabacco, abuso di alcol, mancanza di attività fisica. Queste cause possono generare quelli che vengono definiti fattori di rischio intermedi, ovvero l’ipertensione, la glicemia elevata, l’eccesso di colesterolo e l’obesità. Purtroppo ci sono poi fattori di rischio che non si possono modificare, come l’età o la predisposizione genetica. Nel loro insieme questi fattori di rischio sono responsabili della maggior parte dei decessi per malattie croniche in tutto il mondo e in entrambi i sessi (fonte Oms). Le malattie croniche, però, sono legate anche a determinanti impliciti, spesso definiti come “cause delle cause”, un riflesso delle principali forze che trainano le modifiche sociali, economiche e culturali: la globalizzazione, l’urbanizzazione, l’invecchiamento progressivo della popolazione, le politiche ambientali, la povertà.
Oltre ad avere un alto tasso di mortalità, le malattie croniche possono essere anche particolarmente invalidanti. Per esprimere quantitativamente l’impatto di una malattia sulla salute si utilizza una particolare unità di misura, gli anni di vita persi a causa della disabilità (Daly - Disability adjusted life year). Daly è pari alla somma degli anni di vita persi a causa di una morte prematura e di quelli vissuti in malattia piuttosto che in salute. Nel 2005 le malattie croniche in Europa hanno causato la morte di 8,21 milioni di persone e la perdita di 115,34 milioni di Daly. In termini di Daly, il triste primato spetta alle malattie cardiovascolari (34,42 milioni di Daly), seguite dalle malattie neuropsichiatriche (29,37 milioni) e dai tumori (17,03 milioni).
Secondo i dati disponibili gran parte del carico di malattia in Europa e in Italia è sempre più dovuto a un ristretto numero di malattie e quasi il 20% dei ricoveri è racchiuso in una decina di cause. Salvo il primo posto del parto naturale e della gravidanza, le cause che portano al ricovero ordinario in ospedale sono dunque riconducibili in gran parte a malattie cronico-degenerative, come le malattie cardiovascolari (aterosclerosi, insufficienza cardiaca, ictus, infarto miocardio acuto, aritmie) e al trattamento delle malattie polmonari.
La prevalenza in Italia delle patologie croniche è determinata non solo dal progressivo invecchiamento della popolazione ma anche dal ruolo ancora centrale dell’assistenza ospedaliera nella diagnosi e nella cura. Da qui la necessità di investire nella prevenzione e nel controllo di queste malattie, da una parte riducendo i fattori di rischio a livello individuale, dall’altra agendo in maniera interdisciplinare e integrata per rimuovere “le cause delle cause”. Un dato che aiuta a comprendere ancora di più la rilevanza delle cronicità: ogni anno ci sono in Italia più di 70.000 ricoveri per diabete, principalmente dovuti alle complicanze quali ictus cerebrale ed infarto del miocardio, retinopatia diabetica, insufficienza renale, amputazioni degli arti inferiori.
Le malattie croniche tendono ad accumularsi a livello individuale, possono coesistere contemporaneamente e sono dovute, nella maggior parte dei casi, a pochi fattori di rischio. Almeno il 35% degli uomini al di sopra dei 60 anni presenta due o più malattie croniche e il fenomeno è destinato ad aggravarsi progressivamente con l’età, soprattutto nelle donne. Secondo alcuni dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, l’86% dei decessi, il 77% della perdita di anni di vita in buona salute e il 75% delle spese sanitarie in Europa e in Italia sono causati da alcune patologie (malattie cardiovascolari, tumori, diabete mellito, malattie respiratorie croniche, problemi di salute e disturbi muscolo-scheletrici) che hanno in comune fattori di rischio modificabili, quali il fumo di tabacco, l’obesità e sovrappeso, l’abuso di alcol, lo scarso consumo di frutta e verdura, la sedentarietà, l’ipertensione arteriosa, l’inquinamento ambientale. Tali fattori di rischio sono responsabili – da soli – del 60% della perdita di anni di vita in buona salute. Ricordiamo poi che le malattie croniche hanno un impatto significativo sulla salute e sull’assistenza sociosanitaria, in termini di morte prematura e sviluppo di tassi di disabilità elevati.
Vivere con una patologia cronica spesso significa avere difficoltà fisiche o psicologiche, problemi socio-economici, una ridotta qualità della vita e alcune volte può produrre esclusione sociale. Il carico delle malattie croniche ha infatti notevoli effetti negativi sulla qualità della vita delle persone colpite, provoca morti premature, crea gravi e sottovalutati effetti economici negativi sulle famiglie, sulla comunità e sulla società in generale.
Da sfatare, invece, alcuni pregiudizi che caratterizzano il mondo delle cronicità e che influenzano negativamente la realizzazione di politiche specifiche.
1) Le malattie croniche non si possono prevenire. In realtà eliminando i fattori di rischio si potrebbe evitare almeno l’80% di tutti i casi di cardiopatia, ictus, diabete di tipo 2, e prevenire il 40% dei tumori.
2) Prevenire e controllare le malattie croniche costa troppo. Ci sono in realtà molte possibilità di agire e realizzare politiche attente alla prevenzione e cura delle cronicità che hanno dimostrato un ottimo rapporto costo-efficacia, sia in termini di prevenzione che in termini di assistenza (realizzazione di percorsi diagnostico-terapeutici integrati, accesso gratuito a screening, programmi integrati che agiscono sui principali fattori di rischio, sviluppo di competenze nel paziente affetto da cronicità). Il Piano d’azione 2008-2013, prodotto alla fine del 2008 dall’Oms nell’ambito dell’attuazione della Strategia globale per la prevenzione e il controllo delle malattie croniche, esorta istituzioni e società civile ad orientare gli sforzi verso la produzione di nuove conoscenze, operando al fine della riduzione dei quattro fattori di rischio principali (fumo, alimentazione scorretta, sedentarietà e alcol) e adattando i sistemi sanitari al mutato quadro epidemiologico dominato da malattie che non guariscono.
3) Ogni patologia cronica è un caso a sé, e quindi non è possibile mettere in atto strategie integrate comuni. Le patologie sono diverse e con criticità specifiche ma le necessità sono comuni: avere accesso alle informazioni su come riconoscere e agire sui sintomi, sulle crisi ed emergenze; utilizzare in maniera appropriata ed efficace i farmaci e le terapie; avere accesso ai servizi sociosanitari integrati; gestire al meglio la fatica, il dolore cronico, ma anche la propria patologia sul lavoro; sviluppare strategie per convivere con le possibili conseguenze psicologiche della patologia.
4) I malati cronici sono persone deboli, non hanno la forza e la capacità di gestire la loro patologia e necessitano di assistenza continua. Nella maggior parte dei casi, invece, i pazienti affetti da cronicità sviluppano, proprio per la permanenza della patologia, competenze e capacità che gli permettono di gestire ed autogestire la propria patologia. Queste capacità sono ancora troppo spesso non prese sufficientemente in considerazione come risorsa del sistema, malgrado le evidenze che dimostrano l’utilità per il miglioramento del sistema di un maggiore coinvolgimento del malato cronico nel percorso assistenziale. Pazienti in grado di autogestire la propria patologia, in possesso delle informazioni più corrette sui trattamenti, sui propri diritti, coinvolti nei percorsi di cura e competenti nella gestione e prevenzione delle emergenze, delle ricadute e degli effetti collaterali, sono pazienti che sviluppano un rapporto adulto con il sistema sanitario e sono in grado di trasferire la propria “expertise” ad altri pazienti, potenziando e migliorando le opportunità, l’efficienza, la qualità e l’appropriatezza dei servizi.
Ignazia Zanzi


BOX: La patologia cronica in età giovanile

Il 60% dei decessi è dovuto alle malattie croniche e questo significa che se non si interverrà subito, dei 64 milioni di morti previsti per il 2015, 41 milioni saranno originati da malattie croniche. In Italia, secondo i più recenti dati Istat, nella popolazione anziana le cronicità colpiscono l’80,7% del totale, ma non ne sono immuni neanche i giovani sotto i 24 anni: se nel 2001 i malati cronici giovani erano il 9,7% della popolazione, oggi sono il 9,9%.
Piccoli pazienti affetti da diabete, asma, Aids, epilessia, malattie congenite del cuore, cancro. Adesso i bambini si curano, diventano ragazzi. La ricerca e la terapia medica hanno reso molte condizioni morbose croniche se non definitivamente curabili almeno compatibili con un’attesa di prolungata sopravvivenza. La maggiore attesa di vita, associata sovente a un significativo miglioramento della qualità della stessa, consente alla stragrande maggioranza degli adolescenti con malattie croniche di raggiungere l’età adulta. L’aspetto epidemiologico dell’età infanto-giovanile e dell’adolescenza in particolare, registra per quelle fasce d’età ancora i tassi di ospedalizzazione più bassi.
Negli ultimi anni è andata progressivamente aumentando tra loro la prevalenza di eventi morbosi cronici arrivando a un rapporto di uno su tre adolescenti con malattia cronica nell’età compresa tra i 10 e i 17 anni. Se tutto è già complicato nell’adolescenza, anche avere una malattia cronica, che non guarisce e non guarirà, certo non semplifica la vita! Un dato di fatto comune per tutti questi ragazzi è che le limitazioni proprie della condizione morbosa che li affligge determinano spesso una riduzione delle loro possibilità pratiche di trarre positivamente vantaggio delle influenze esterne di tipo sociale, fisico, culturale, economico, familiare che il mondo adolescenziale offre loro per sviluppare la propria personalità ed esperienza.
Quanti sono i ragazzi che vivono con una malattia cronica? Ciascuna delle malattie croniche degli adolescenti è relativamente poco frequente, ma se si mettono tutte insieme, viene fuori che almeno il 12% dei ragazzi ha una malattia cronica. I numeri però cambiano a seconda dei parametri di definizione: se si contano anche le malattie mentali e l’abuso di droghe e alcol, allora si supera il 30%. Il problema è che ciascuno di quelli che si occupano di queste malattie, tende a dedicarsi alla “sua”, a quella che studia e che cura (e con molte buone ragioni), ma c’è molto in comune fra tante malattie croniche: tutte, per esempio, interferiscono con la salute mentale (rapporti sociali, vita affettiva, emozioni). Se ci si rendesse conto che i problemi delle malattie croniche sono comuni a tante malattie diverse, sarebbe più facile aiutare questi ragazzi anche al di fuori dei gruppi di supporto tradizionali, come sono per esempio le associazioni per il diabete giovanile o per l’epilessia o per la fibrosi cistica. È un po’ quello che succede per le malattie rare: ci sono associazioni e gruppi di autoaiuto, per chi ha l’emofilia o l’autismo o la talassemia, tradizionalmente concentrati sulla “loro” malattia. Eppure tanti problemi che ciascuno da solo fa fatica a risolvere, diventano più facili se si affrontano insieme.
I problemi specifici di un’adolescenza vissuta in compagnia di una malattia cronica nascono soprattutto dai profondi riflessi che la condizione patologica cronica esercita nel corso del delicato processo evolutivo e maturativo proprio dell’adolescente, che dalla loro eventuale presenza può essere profondamente alterato con conseguenze negative sulla funzione di adulto. I genitori spesso sovrastimano i disturbi dei ragazzi, i quali invece sovente li sottostimano e in generale aderiscono meno alle prescrizioni mediche, e si capisce perché: un ragazzo non si abitua facilmente all’idea di essere malato, e così con la stessa malattia rischia di più dell’adulto. La necessità di terapie croniche che spesso sottintendono la dipendenza da un aiuto esterno possono rappresentare un serio ostacolo allo sviluppo dell’autonomia del giovane adolescente, mentre l’attenzione posta da parte dell’équipe medica e dei familiari alla malattia cronica può far sottovalutare o non prestare la necessaria attenzione agli altri aspetti propri dell’adolescenza quali la crescita, la sessualità e gli aspetti interrelazionali.
Chi lo sa come vive un ragazzo con una malattia cronica, al di là degli effetti della malattia sul suo organismo? Quanti di questi ragazzi sono capaci di prendersi cura di sé e della malattia? Quelli che hanno capito che gli adolescenti con malattie croniche hanno problemi speciali e hanno saputo mettere in atto interventi specifici, cominciano ad avere buoni risultati. Il Nice, l’Agenzia del governo inglese che si occupa di farmaci e di salute pubblica, ha appena pubblicato un documento su come migliorare la qualità e l’aspettativa di vita dei ragazzi col cancro. È un esempio, ce ne potrebbero essere tanti altri, che vanno conosciuti e studiati.


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