Il piacere questo sconosciuto
I moralisti sono persone che rinunciano ad ogni piacere eccetto quello di immischiarsi nei piaceri altrui.
(Lord Bertrand Russell)
Il dolore fa audience, i cattivi sentimenti fanno tendenza, il piacere invece è qualcosa che ci sfugge, che identifichiamo spesso solo come una mancanza di sofferenza, è una parola che pronunciamo quasi con pudore.
Sebbene viviamo in una "cultura del dolore" e le risposte di tipo "nevrotico" alle incertezze e alle precarietà della vita siano sempre più diffuse, il piacere resta una parte fondamentale della nostra esistenza. Che sia negato o desiderato, che sia presente o assente, che sia poco o tanto, in qualunque modo sia vissuto, resta una parte imprescindibile del processo di maturazione e di sviluppo psicoaffettivo nel quale si realizza la nostra individualità e si struttura la nostra identità.
Purtroppo, però, molte volte il piacere rappresenta un problema per come viene vissuto, per come vorremmo viverlo o per quanto vorremmo viverne, per l'importanza che ha o non ha per noi, per quanto ci condiziona. Le riflessioni sul piacere, del resto, hanno attraversato nel corso dei secoli la morale, la filosofia, la politica, la religione, l'economia, la psicologia, la sessuologia e in ognuna di queste discipline hanno assunto significati ed interpretazioni molto diversi.
Per Socrate il piacere si identifica con la virtù, Platone distingue i piaceri del corpo (entità inappagabili a causa della loro dipendenza dal rinnovarsi del desiderio) da quelli dell'anima (i soli che, non essendo mescolati al dolore, risultano duraturi). Per Aristotele il vero piacere si definisce come esperienza soggettiva della perfezione oggettiva, mentre per Epicuro diventa fondamento dell'etica, in una prospettiva edonistica tesa a perseguire il piacere e a sfuggire il dolore, fisico e morale. Con la scuola stoica, che sostituisce alla centralità del piacere l'etica del dovere, le cose cominciano a cambiare, e con la filosofia cristiana il piacere assume una tendenza ascetica con relativa rinuncia ai beni terreni ed annessa condanna dei piaceri sensuali. È di S. Agostino il considerare la carne come uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo dello spirito e la svalutazione totale del piacere corporeo. Anche nelle filosofie medievali si assiste ad una sublimazione dei piaceri terreni, ricondotti in una prospettiva religiosa, e ad una demonizzazione generalizzata dei piaceri, in primis di quelli sessuali. Con l'Umanesimo la prospettiva cambia ancora attraverso una mediazione e una rivalutazione che torna a far coincidere il piacere con il bene e con il principio conservatore della vita. Il naturalismo riconduce il piacere in una prospettiva individualistica, Cartesio lo considera come espressione dell'interazione mente-corpo, Hobbes lo inserisce nel meccanismo delle passioni. Nel Settecento si rafforza la correlazione tra stati psichici e sensazioni corporee, mentre nell'Ottocento piacere e desiderio vengono romanticamente correlati a noia, dolore, sofferenza e tormento... fino a giungere alle rivoluzionarie teorie freudiane e allo studio della vita psichica, regolata dal conflitto tra le pulsioni inconsce e le censure razionali.
Ed è qui che alle riflessioni sul piacere si associano stabilmente i più moderni concetti di ansia e di senso di colpa soprattutto nel contesto della sessualità. Sì, perché il piacere sessuale è un'esperienza complessa e profonda, ricca di ingredienti culturali, personali, contestuali, capace di un'ampia escursione di intensità e qualità: da un rapido e delimitato "sfogo" di tensione nervosa ad un'estasi totale, capace di coinvolgere le nostre sensazioni più primitive e viscerali.
In quest'ottica è tuttora vivace il dibattito se il desiderio e il piacere nascano nel corpo, nelle sue secrezioni ormonali, nei suoi circuiti cerebrali oppure siano un prodotto della psiche, dell'immaginazione, del pensiero, se siano entità fisiologiche misurabili o solo l'equivalente di una suggestione, di un'emozione "sessualmente trasmessa". Forse è meglio non cercare risposte certe e considerare l'uomo come un'unità psicosomatica che deve saper identificare le proprie sensazioni, usarle senza abusarne in un contesto di maturità psicoaffettiva e di salda identità sessuale.
La capacità di percepire il piacere è comunque una potenzialità naturalmente presente, una funzionalità spontanea la cui efficienza può essere però condizionata dai vissuti infantili e adolescenziali, dall'educazione ricevuta, dalle esperienze passate. Se il bambino viene inibito o svergognato, colpevolizzato o spaventato nei momenti critici della sua ricerca o esperienza del piacere, il suo rapporto con questa capacità può risultare confuso o conflittuale, inquinato, come si diceva, da ansie e sensi di colpa.
Il piacere ha, infatti, bisogno di libertà e di spensieratezza, non tollera molto essere schematizzato, ridotto ad abitudine, disciplinato o mortificato poiché in tal modo perde la sua essenza di creatività e di gioco. A ciò va aggiunto che gli stimoli che ci derivano dai sistemi sensoriali assumono un senso pienamente erotico solo se sono coordinati alle emozioni che vi si associano. Pensiamo di essere sfiorati con intenzioni sessuali da uno sconosciuto in un ambiente affollato: se questi segnali ricevono la nostra "autorizzazione" diventano immediatamente stimoli incredibilmente eccitanti, ma se incontrano il nostro "rifiuto" si trasformano, anche più rapidamente, in repulsione, insofferenza o disgusto.
La percezione del piacere, quindi, è sottoposta alle leggi dell'apprendimento e del controllo, ed è necessario "allenarsi" all'esperienza erotica e appagante. La pratica frequente dell'eccitazione e del coinvolgimento sessuale rende più pronti e sensibili: le zone erogene migliorano la loro risposta se vengono regolarmente attivate, la reattività corporea si amplifica e si estende sotto l'influenza degli stimoli e la stessa capacità elaborativa dell'immaginazione si fa più ricca ed intensa se è sollecitata ad intervenire. Queste indicazioni possono essere particolarmente utili per la vita di coppia in età adulta: l'affievolirsi delle spinte ormonali, endocrine e metaboliche che caratterizzano la maturità deve essere infatti integrato da una regolarità degli stimoli, da una pluralità di segnali erotici e dalla continuità sessuale se si desidera che il piacere e la sua soddisfazione godano a lungo di buona salute.
Un ultimo accenno, per concludere, sulle sostanziali differenze in merito all'esperienza del piacere sessuale al maschile e al femminile. Per quasi dieci anni, i ricercatori alla Pfizer hanno lottato per dimostrare che il Viagra, il farmaco per l'impotenza negli uomini, funzionasse anche nelle donne. Da qualche mese si sono arresi. Infiniti test su migliaia di donne hanno dimostrato che la piccola pillola blu, seppure non priva di un leggero effetto stimolante, non sosteneva l'eccitazione sessuale. Il fallimento del Viagra ha documentato un dato ben noto: quando si tratta di sessualità, gli uomini e le donne sono diversi. L'uomo, infatti, manifesta una maggiore disposizione al piacere che, però, spesso paga con l'incapacità di uscire dal terreno battuto, di variare il suo modo di fare l'amore. L'uomo preferisce l'abitudine, la ripetizione, mentre la donna predilige l'elemento straordinario, non abituale. La donna ha un piacere molto più esigente, più "aristocratico", che non si accontenta di gesti prevedibili e ripetuti ma esige una qualità superiore che le assicuri di essere desiderata e di non rappresentare quindi una sorta di bambola gonfiabile.
Sull'argomento ho trovato un documento molto interessante che, pur risalendo al XII secolo, risulta essere di estrema attualità. Appartiene al Liber causae et curae della Badessa Hildegard von Bingen...
"Quando nel maschio si fa sentire l'impulso sessuale (libido), qualcosa comincia come a turbinare dentro di lui come un mulino, poiché i suoi fianchi sono come la fucina in cui il midollo invia il fuoco affinché venga trasmesso ai genitali del maschio facendolo bruciare [...] Ma nella donna il piacere (delectatio) è paragonabile al sole, che con dolcezza, lievemente e con continuità imbeve la terra del suo calore, affinché produca i frutti, perché se la bruciasse in continuazione nuocerebbe ai frutti più che favorirne la nascita. Così nella donna il piacere con dolcezza, lievemente ma con continuità produce calore, affinché essa possa concepire e partorire, perché se bruciasse sempre per il piacere non sarebbe adatta a concepire e generare. Perciò, quando il piacere si manifesta nella donna, è più sottile che nell'uomo, perché il suo fuoco non arde in essa con la stessa forza che nell'uomo" (Liber causae et curae, pp. 69-70, 76).
Piacere dunque, non solo come soddisfazione a livello epidermico o genitale ma anche in senso psichico, come espressione del funzionamento equilibrato ed armonico dell'essere umano nei suoi vari aspetti, nelle sue diversità. Piacere come assenza di inibizioni ingiustificate, di ansie, di sensi di colpa, piacere come sensazione di benessere globale vissuto nella libertà e nella serenità interiore. Impariamo a viverlo con fiducia, a renderlo motore del nostro sviluppo personale, ad accettarlo come fattore di rinnovamento e di crescita, senza paura di perderlo preferendogli il più rassicurante, più prevedibile, meno responsabilizzante... "dolore".
dott. Filippo Nicolini, psicologo