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Tradizioni e sapori: c'era una volta la macelleria

 |  Redazione Sconfini

Mestieri antichi, alcuni scomparsi, altri trasformati sia a seguito delle innovazioni tecniche, sia come conseguenza del mutare della società. Tra questi antichi mestieri, oggi radicalmente cambiati, c’è quello del macellaio.

 

Un tempo esisteva un regolamento secondo il quale ogni comune con un numero di abitanti superiore a seimila doveva avere un macello. Il panorama di questi anni è radicalmente diverso. Prima c’erano numerosi allevatori di medie e piccole dimensioni. La necessità di avere un numero elevato di luoghi preposti al trattamento della carne nel passato trova la sua spiegazione nel fatto che non si potevano coprire lunghe distanze per trasportare la merce senza che questa non subisse significativi deterioramenti. Grazie ai progressi della tecnica oggi è invece possibile servire zone molto vaste, pur appoggiandosi a una sola struttura.

 

Piccoli cenni, questi, grandi linee che ci introducono in un passato, poi non molto lontano, dove si viveva, si lavorava e si mangiava in modo diverso da quello attuale. “Ricordo che quando ero bambino – racconta Marino Vesnaver, titolare insieme ai fratelli della San Dorligo Carni di Trieste – le donne che si recavano in macelleria per acquistare un pezzo di carne erano preparatissime. Volevano vedere l’animale da cui sarebbe stato sezionato il pezzo che a loro interessava e se il macellaio cercava di raggirarle, subito veniva colto in flagrante. Insomma le massaie di un tempo avevano una competenza in materia di carne da far impallidire buona parte di coloro che oggi operano nel settore”. Attualmente, quando si desidera preparare un piatto di carne, ci si reca nei supermercati, dove, nella maggior parte dei casi, il pezzo è già pronto e confezionato. È chiaro che questa opportunità risponde in pieno a quelle che sono le esigenze di oggi, esigenze che vengono imposte dai ritmi serrati che la vita odierna comporta.

 

Sempre a proposito di tempi, anche chi stava dietro al bancone della macelleria svolgeva la sua professione secondo dinamiche ben diverse da quelle di oggi, a partire da quelle che portavano all’acquisto dell’animale da macellare. “Il macellaio – riprende Vesnaver – andava dal contadino-allevatore, osservava il vitello, o quant’altro, e, semplicemente guardandolo e scrutandone la dentatura, riusciva a comprenderne la qualità nonché poteva ipotizzarne il peso e quindi la resa che si poteva ottenere una volta macellato. La conclusione della trattativa non avveniva in mezz’ora: il macellaio lasciava trascorrere una settimana, nel corso della quale svolgeva più visite presso la fattoria dove aveva adocchiato il capo di suo interesse. Certo il lasso di tempo consentiva anche ad altri colleghi di vedere la bestia e, come è sempre successo, il prezzo aumentava a seguito della competizione tra i potenziali acquirenti”.

 

Questo antico mestiere è cambiato molto ma ha conservato un aspetto immutato, cioè quello della fatica. “Anche oggi come un tempo – sottolinea Vesnaver – questo lavoro è duro, faticoso e impaltegnativo, nonostante il fatto che tutto sia stato meccanizzato. Adesso le carni vengono prima raffreddate e quindi sezionate. E quando si giunge al momento di sezionare può capitare di dover lavorare anche di notte, in quanto non si può interrompere questa fase lavorativa”. Sarà per queste caratteristiche, fatto sta che oggi è difficile trovare giovani che cerchino di apprendere questo mestiere, nonostante la professione sia sempre richiesta. “È diversa – aggiunge Vesnaver – anche la modalità con cui si impara a fare il macellaio. Se un tempo infatti il ragazzo veniva preso a bottega e iniziava col pulire il banco e quindi solo dopo un lungo periodo poteva iniziare a tagliare al carne, oggidì non è più così”. C’era una volta, e anche questa è ormai storia, una scuola dove il mestiere era trasmesso da insegnanti che avevano una lunga esperienza. “Quando l’animale arrivava al macello – racconta Vesnaver – ognuno sapeva come lavorarlo e conosceva tutte le fasi della preparazione, ovvero: disossare, sezionare, presentare il pezzo per il pubblico, mettendone in evidenza le parti migliori. Tutte queste attività erano svolte con sapienza e competenza”.

 

A conferma delle parole di chi da sempre è vissuto in questo ambiente, vi è una curiosità, che pochi sanno ma che fa riflettere circa il modo in cui veniva intesa questa professione. “Alla fine della lavorazione dell’animale – afferma Vesnaver – il macellaio usava firmare il pezzo, praticando con il coltello un taglio che poteva assumere le forme più diverse come, per esempio, quella del fiore. Era importante perché questo segno faceva non solo trasparire l’orgoglio di chi vi aveva messo tutto il suo impegno, ma anche permetteva ai negozianti di scegliere i pezzi preparati dai più bravi, garanzia di qualità. A dire il vero, gli esperti riconoscevano a occhio i pezzi d’autore, anche senza vederne la firma”.

 

Questi racconti ci catapultano in un mondo tanto diverso da quello di oggi, dove nei macelli ognuno si occupa solo e unicamente di una parte dell’animale e probabilmente non è capace di sezionarne un’altra. “Le leggi in materia di igiene e sanità introdotte in questi ultimi anni – spiega Vesnaver – sono indubbiamente positive e garantiscono la qualità di quanto viene portato sulle tavole. Tuttavia certe restrizioni hanno anche portato come conseguenza a dimenticare alcune tradizioni, addirittura millenarie”. Di fatto le nostre tavole oggi sono invase da hamburger, per fare un esempio, mentre scompaiono alcuni cibi, e insieme ad essi l’antica competenza di come preparare certe pietanze. “Tra vent’anni – conclude Vesnaver – non si saprà più nulla di quelle tradizioni che fanno parte della storia culinaria di ogni zona. È un peccato perché rischiamo di perdere alcuni nostri sapori”. E parte del nostro sapere.

Tiziana Benedetti

 


In collaborazione con Help!

 

 


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