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Anziani e servizi sociali e sanitari

 |  Redazione Sconfini

Essere anziani, entrare in età libera per la precisione, oggi non significa soltanto subire un “life event” negativo, foriero di depressione o isolamento. Anzi, il più delle volte è una condizione anelata perché significa poter fare quello che si vuole, anche dedicarsi agli altri con solidarietà.

 

La cosa che preoccupa maggiormente gli anziani è una questione di sicurezza: la certezza dei servizi e della pensione. Una variabile in più che crea disorientamento è dovuta alla grande insistenza sul ruolo della famiglia – che pure resta la maggiore azienda sociale e sanitaria italiana in fatto di servizi e prestazione di cure – sebbene affiancata dal ruolo delle “badanti” (per le quali non si rimuove affatto la causa di essere la risultante dei grandi conflitti militari europei, delle guerre negli altri continenti, della caduta dei muri e delle ideologie e delle credenze sia ad Ovest che ad Est, delle spinte pull e push del fenomeno migratorio mondiale) ed alle neo-reti territoriali.

 

Già, sembra che l’ageing population abbia già “sgamato” cioè compreso in formato fenomenologico che tutte le reti hanno una caratteristica ben evidente: quella di costruire una stabilità contingente. Sì, contingente e non duratura o durevole, non alla portata del bisogno di sicurezza e di protezione a cui gli anziani danno un significato non solo mondano ma umanitario.

 

L’impressione è che questa fetta di popolazione, cliente potenziale e concreta dei servizi, abbia già compreso che ciò che accade all’interno delle reti è più o meno una trasmissione del caso, una raccomandazione nel vero senso della parola. Criteri diversi fra enti di spesa (di solito Comuni e Aziende sanitarie varie) sono i fattori che spiegano questa critica, questa preoccupazione, questo “sapere” pratico che forse non è ancora vera coscienza. È una cosa che si sa, s’intuisce anche se non riesce a manifestarsi. Un brontolio di una moltitudine.

 

Cosa significa tutto ciò? Significa che nel crescente riconoscimento della famiglia (specie da parte delle generazioni allenate al culto della non famiglia, delle forme riproduttive diverse del sociale, per non dire della “famiglia che uccide”) e nel riconoscimento forzoso delle reti che si ridefiniscono sul territorio in cui, ad esempio, scadono nel mese “x” i termini per presentare la domanda per ottenere una contribuzione (proprio per una badante) mentre chi ha un bisogno sorto nel mese “x+1” si trova escluso e dovrà aspettare un altro giro non ancora definito né definibile, l’alea diventa una caratteristica non secondaria che è capace di inficiare tutte quelle riunioni, chiacchiere, impegni che sono stati la base dei piani di zona.

 

Insomma, le reti sembrano andare bene in quei settori della società dove la componente “soft” è essenziale, come le reti di informazione e di spionaggio. Nel caso dei servizi la cosa sembra assai più complicata e complicante. A meno che non vi sia una forte centralità in un ente decisore e pagatore, capace di dettare una superiorità ed un imperium non affatto secondario. Ma questa è un’altra storia.

 

Intanto, se non si presta attenzione al fatto che il passaggio dal welfare monopolistico e centralizzato ad un welfare più molecolare e decentrato voglia dire anche un’espansione delle tutele e delle risposte e non solo un trasferimento di competenze il cui bilancio è a danno dei cittadini, sia in fatto di qualità e di coordinamento dei vari attori che si affacciano, sia in termini di quantità, è evidente che le preoccupazioni dell’ageing population diventano una realtà di non poco conto. Anche quella di sentirsi troppo dipendenti da servizi che sono poco palpabili, ma non per questo meno condizionanti.

 

Si pensi a questo proposito che, in linea generale, gli “anziani” percepiscono i luoghi del territorio come ostili ed insicuri (dalle banche agli uffici comunali e della sanità), dove c’è sempre qualche cosa di non decifrabile, dove le risposte sono improntate per lo più agli umori di chi svolge un ruolo e non perde mai l’occasione per ribadire “dipendesse da me le farei e/o le darei… ma non abbiamo risorse”, ammiccando che è un altro l’ente responsabile.

 

Questa popolazione ha imparato che “la campana o non suona più o se o quando suona, suona sempre per un altro”. Che la parola “risorsa” significa soldi ed è più misteriosa ed apparentemente manageriale. Che il carattere sistemico della riforma, del cambiamento del welfare è una sonora balla sociale che nasconde la lesina. Come rendere amichevoli i rapporti se le reti non sono per definizione sistemiche? Siete sicuri che basti il brokeraggio di un servizio composto, preposto, aggiuntivo ed aggiunto, ordinato come mission a ridurre la diffidenza e complessità?

A.T.

 


In collaborazione con Help!

 

 


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