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Teddy Kelley

Solidarietà civile: la psicologia dell’emergenza

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Nel corso della vita può capitare a tutti, prima o poi, di subire un trauma: fra gli esempi più comuni ci sono gli incidenti automobilistici, i terremoti, la guerra, i lutti, le violenze fisiche e psicologiche.

Nella maggior parte dei casi, questa esperienza viene sostanzialmente superata in modo graduale, ma ci si può trovare impreparati ad affrontare l’insieme dei disturbi post-traumatici originati da questi eventi che provocano la distruzione fisica, la perdita di proprietà personali, molto spesso lesioni gravi e/o la morte di persone care. Si possono sviluppare traumi psicologici nelle persone coinvolte, che entrano in uno stato di profondo sconvolgimento emotivo. Le vittime più vulnerabili di tali eventi sono i bambini e gli adolescenti, ed è proprio in questa situazione che si riscontra un disagio diffuso e un senso di inadeguatezza da parte di chi interviene per evitare la comparsa e lo sviluppo di traumi psicologici alle giovani vittime. Gli esempi sono a volte eclatanti: bambini che hanno smesso di parlare per aver assistito, anche se illesi, ad un incidente o ad un dramma familiare; bambini di famiglie con disagi comportamentali che vengono colti da attacchi di asma e che “guariscono” improvvisamente all’udire del suono di una sirena che arriva e che per loro significa “sentirsi protetti”. Le attenzioni e le premure portate durante le azioni di soccorso sono molte. Ma non tutte le persone che intervengono sono in grado di gestire la situazione. Pur essendoci grande attenzione ai fattori di rischio per la salute fisica, vengono a volte sottovalutati e trascurati gli elementi che minacciano uno sviluppo emotivo. Gli studi in questo campo sono cominciati relativamente di recente, e proseguono in modo sporadico e discontinuo. Si è data vita ad una nuova branca della psicologia, chiamata “psicologia del trauma” o “dell’emergenza” o “della crisi”, con lo scopo di offrire soluzioni per aiutare coloro che soffrono o si trovano in una situazione critica. Cos’è più urgente, qual è la priorità d’intervento, chi deve intervenire, a chi spetta ad esempio il compito di dire ad un bambino che il papà o la mamma sono morti, a chi il compito di soccorrere un bambino sotto shock a seguito di un incidente stradale e come aiutare i compagni di un bambino che è annegato durante una gita scolastica o che peggio ancora ha subito una violenza o un abuso sessuale? La situazione si complica nel caso delle emergenze di massa a seguito di calamità naturali o eventi bellici, dove un grande numero di persone, ed in particolare i bambini restano traumatizzati e sofferenti. Nel lavoro di soccorso verso i minori le priorità da tenere in considerazione sono: i bambini sono colpiti dai disastri di massa direttamente e indirettamente; essi sono testimoni delle reazioni degli adulti, in particolare dei genitori e ne sono influenzati; spesso i genitori ignorano o negano i segni di stress dei propri figli, ostacolando l’identificazione dei loro bisogni; nel caos generato dai disastri di massa, i bambini necessitano di bisogni di primaria importanza maggiori di quelli degli adulti. I bambini, soprattutto i più piccoli, traggono conclusioni errate sulle cause del disastro e non sono in grado di dare risposte proporzionate, non hanno la capacità di trovare le parole per esprimere i loro sentimenti o elaborare le proprie reazioni. Bisogna saper proporre loro nuovi veicoli comunicativi, nuovi strumenti e saper leggere i segni (o i disegni) che comunicano il disagio. È necessario informare i genitori su come individuare i segni di sofferenza psicologica dei bambini, come prendere le adeguate misure e adottare specifici interventi. Il terremoto del Friuli del 1976 ha segnato, “ante litteram”, la nascita della psicologia dell’emergenza nel Friuli Venezia Giulia, con l’opera professionale, terapeutica e riabilitativa del dottor Tito Cancian con i bambini di Gemona colpiti e sopravvissuti alla catastrofe. In seguito alla costituzione dell’Ordine degli Psicologi, esperienze di formazione sui temi psicologici inerenti le emergenze sono state condotte da psicologi per il personale della Protezione Civile, in particolare sul panico e la gestione di tale stato psichico durante le emergenze. A partire dal convegno di Assisi del 1997 il Consiglio dell’Ordine si è dotato di un proprio referente per promuovere tale tematica psicologica, per individuare spazi di intervento professionale e di solidarietà civile. La crisi del Kosovo del 1999 ha visto l’adesione massiccia, volontaria, degli psicologi all’ipotesi di partecipazione al soccorso psicologico per le popolazioni colpite da disastro bellico ed umanitario. Si è così costituito ed ha iniziato il suo paziente lavoro il Gruppo di lavoro di Psicologia dell’emergenza. A tale movimento iniziale, ha fatto concretamente seguito l’avvio della formazione specifica degli aderenti volontari, il collegamento con le realtà attive nell’ambito territoriale del Triveneto, il rapporto con i relativi Ordini ed un’ipotesi organizzativa regionale del Friuli Venezia Giulia facente capo all’Ordine ed al Consiglio per gli interventi in campo dell’emergenza. Si è voluto in questo modo interpretare una naturale “vocazione”, geografica, storica, geologica (terremoti, alluvioni, disastri, emergenze di confine), che caratterizza il territorio locale ed un dato culturale della gente che qui vi vive, caratterizzato da solidarietà, ospitalità, aiuto ed atteggiamenti generosi di soccorso. Di fatto, i filoni professionali maturati sono stati: la preparazione professionale degli psicologi per il soccorso nelle catastrofi in collaborazione con la Protezione Civile, l’emergenza collegata ai fenomeni migratori (cooperando con attività di ascolto psicologico e formazione all’Ambulatorio medico per lo straniero dell’Ass “Triestina”), le situazioni di stress nei luoghi di lavoro (mobbing, burn-out), gli interventi nel campo della sicurezza e benessere/malessere psicologici nei luoghi di lavoro (Legge 626 e successive modifiche), l’educazione alla sicurezza nelle comunità (esercitazioni di sgomberi per emergenze in scuole, case di riposo), la formazione dei volontari operatori della Protezione Civile, il rapporto stabile con l’Università al fine di avviare concretamente, in sinergia, lo studio di un possibile percorso formativo accademico per i futuri psicologi per le emergenze e progetti di formazione all’esterno. Ignazia Zanzi


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