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Comitato Regionale FVG: intervista a Sergio Silvestre (PN)

 |  redazione Help!

“Se fossi io il vicepresidente del Comitato regionale ed individuassi delle criticità o degli immobilismi mi legherei fuori dell’ufficio dell’assessore”.


A quando risale l’inizio del suo impegno nel volontariato?

“Mi occupo di volontariato da almeno 25 anni, da quando sono stato tra i fondatori dell’Avan che oggi guido e che sta per festeggiare le nozze d’argento. L’Avan è una onlus che agevola la mobilità delle persone anziane disabili. L’associazione ha sede ad Azzano Decimo ed impiega 137 volontari autisti che quotidianamente forniscono il servizio di trasporto da e per le strutture sanitarie in favore degli anziani disabili ed in collaborazione con altre associazioni. Tutte le attività sono svolte in convenzione con l’Azienda sanitaria n. 6 e con diversi ambiti della Provincia di Pordenone. Inoltre, da sei anni sono rappresentante delle associazioni di Pordenone nel Comitato regionale del volontariato nel quale ho ricoperto anche la carica di vicepresidente per tre anni. Oltre a questo incarico istituzionale regionale, sono coordinatore nazionale di 80 associazioni che si occupano di persone con la sindrome di Down: è un impegno che affronto con intensa emozione poiché sono padre di una ragazza con la sindrome di Down. Sono inoltre membro dell’Osservatorio nazionale per le politiche sulla disabilità presso il Ministero della Salute e Protezione sociale”.


È un volontariato, quello di oggi, nei cui valori si ritrova?

“Nei valori certamente sì. Il problema è, per così dire, tecnico: la Legge Quadro del 1991 presenta molte lacune. Ciò ha consentito a molte associazioni di volontariato, di fatto tali nella forma, di agire nella pratica quotidiana non proprio come organizzazioni di volontariato. A riguardo mi riferisco a due principi fondamentali: la gratuità delle prestazioni erogate a terzi ed il fatto che le stesse debbano essere erogate prevalentemente a terzi e non ai propri associati. Le posso garantire che ci sono associazioni che conosco personalmente che operano in regime di convenzione e che di fatto sono delle imprese. Un esempio è dato da un’associazione in Liguria (che tra l’altro fa parte del mio coordinamento nazionale) che ha 90 dipendenti e un bilancio di 4.000.000 di euro all’anno. Ed è un’associazione di volontariato. Secondo me questa dovrebbe essere una Fondazione o qualcos’altro, non un’associazione di volontariato”.


Nella nostra regione è a conoscenza di situazioni così clamorose?

“Sicuramente si, ma non è una responsabilità delle associazioni. Anche la nostra Regione non ha mai preso in considerazione una più adeguata legislazione che miri ad identificare quali sono, o possono essere, associazioni di volontariato e quali no. Faccio un esempio: la partita IVA. Ad avere la partita IVA sono prevalentemente le attività commerciali. Potrei fare nome e cognome di quante associazioni a livello regionale iscritte all’albo hanno la partita IVA… da mettersi le mani nei capelli. La partita IVA serve per emettere una fattura ed essere pagato per le prestazioni che si erogano”.


Di chi è la responsabilità?

“Delle istituzioni. Porto un altro esempio: una banda comunale può essere un’associazione di volontariato purché rispetti i requisiti chiesti dalla Legge e può avere anche la partita IVA. Perché ha la partita IVA? Perché quando esercita l’attività istituzionale nel suo comune riceve dallo stesso dei contributi, quando si esibisce in un comune diverso può ricevere solo un rimborso delle spese sostenute purché fatturate. Infatti, i Comuni non possono dare contributi pubblici ad associazioni che non hanno sede nel loro territorio ma possono pagare fatture altper prestazione ricevute. Ci sono tantissimi casi di questo tipo. Bisognerebbe consentire ai Comuni di sostenere le associazioni non tanto con riguardo alla sede legale ma piuttosto in relazione all’attività svolta”.


Che cosa ha fatto il Comitato regionale, di cui lei è membro, per ovviare a queste situazioni?

“Sono ormai sei anni che i volontari chiedono la revisione della Legge regionale. E siamo ancora fermi. Da quando si è insediato l’assessore Molinaro sono passati già due anni. Sembrava che avesse voglia di intervenire immediatamente ma solo ora qualcosa comincia a muoversi. Manca un coordinamento tra le varie leggi che finanziano il no profit. La mano destra non sa quello che fa la sinistra. Desidero chiarire il concetto in questo modo: la Legge regionale 12/95 definisce puntualmente i termini per la distribuzione dei fondi alle associazioni mentre ciò non avviene con la distribuzione dei fondi da parte, ad esempio, dell’Assessorato alla Salute e Promozione sociale diretto da Vladimir Kosic. L’assessore Kosic ha distribuito fondi a pioggia senza nessun criterio per quanto riguarda la presentazione delle domande. Molte associazioni hanno presentato progetti, come si suol dire, su carta da formaggio chiedendo 30.000 euro senza specificare nulla e sono stati finanziati dalla Regione. Se da un lato (Legge 12 – volontariato) ci sono criteri oggettivi, graduatorie, verifiche e commissioni, dall’altro non c’è nulla”.


Esiste un coordinamento tra Comitato di gestione, Comitato regionale e Centro Servizi?

“C’è un coordinamento politico per quanto riguarda le strategie di intervento non per quanto riguarda il sistema contributivo. Nell’ultima seduta del Comitato regionale non ho proposto l’esclusione dai contributi di quei progetti che avevano già ottenuto fondi dal CSV, ad esempio, ma una loro diversa valutazione rispetto a progetti di associazioni che non avevano ottenuto nulla da nessuno. Ad ogni modo il coinvolgimento dei volontari nei vari organismi è marginale e a testimoniarlo c’è il fatto che nessuno ci ha dato la possibilità di esprimerci nel Comitato regionale in relazione agli obiettivi strategici del volontariato. Fino a poco tempo fa nel Comitato regionale si faceva anche politica. Da due anni a questa parte ci si riunisce solo per approvare il riparto dei contributi sulla progettualità associativa”.


Perché è successo questo?

“Purtroppo anche all’interno del mondo del volontariato prevalgono le stesse logiche che ci sono all’interno del mondo politico laddove non si premia mai la capacità delle persone ma si guarda sempre al proprio tornaconto. Quando si deve individuare una persona per la guida di un ente, in questo caso il Comitato regionale, il Comitato di gestione o il CSV, non si guarda alle sue competenze ma se è di Trieste, Udine, Gorizia o Pordenone. Se fossi io il vicepresidente del Comitato regionale ed individuassi delle criticità o degli immobilismi mi legherei fuori dell’ufficio dell’assessore”.


Quale dovrebbe essere l’identikit del futuro candidato al Comitato regionale?

“Bisognerebbe innanzitutto lavorare per consentire al Comitato di adempiere ai compiti individuati dalla Legge. Mi spiego: qualsiasi legge inerente il volontariato promulgata dalla Regione dovrebbe passare, prima di diventare definitiva, al vaglio consultivo dei commissari del Comitato. Questo non è mai successo. I compiti affidati al Comitato regionale sono tanti, ma quanti realmente vengono fatti? I volontari dovrebbero persino avere una sede presso la presidenza della Regione dove potersi trovare e discutere, anche ogni giorno, di problematiche inerenti il volontariato. Questa sede non c’è. La Consulta dei disabili ha, invece, una sua sede specifica all’interno della Giunta regionale. E quando il buon Brancati (ex sindaco di Gorizia ed ex presidente della Consulta, ndr) alza un dito, tutti si mettono sull’attenti. La Consulta ha un peso politico rilevante ed è considerata un interlocutore privilegiato su tutte le problematiche della disabilità. Nel volontariato ciò non accade perché alle associazioni non gliene importa nulla di questi discorsi. Quando gli dai qualche migliaio di euro per i loro progetti, non gli rompi le scatole e le chiami una volta all’anno per l’approvazione del bilancio, per loro è sufficiente. Purtroppo c’è poca partecipazione se non da parte di reti sul territorio, come quella che recentemente è stata fatta a Trieste (Federazione del Volontariato di Trieste, ndr), che al loro interno cercano di dar vita ad un dibattito anche culturale su questi argomenti. Su 1.400 associazioni iscritte all’albo regionale quelle che cercano di fare rete si contano su una mano o poco più”.

P.G.

 


In collaborazione con Help!

 


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