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Immersione senza decompressione: un viaggio senza soste

 |  Redazione Sconfini

 

È per l’ingegno e la passione del grande Jacques Yves Cousteau che la subacquea è uscita dall’ambiente militare o professionale da cui deriva, ed è per gli studi del dottor Raymond Rogers che si possono ammirare oggi le

bellezze del mondo sommerso senza aver bisogno di tappe decompressive prima di tornare “a riveder le stelle”.

 

L’immersione sportiva non prevede soste di decompressione: questo è l’aspetto fondamentale che la distingue dall’immersione militare, professionale o tecnica, e che ne fa un’attività alla portata di tutti, perché significa che in ogni momento, anche nel caso in cui dovessero insorgere dei problemi, è possibile ritornare direttamente alla superficie senza incorrere nel rischio della malattia da decompressione (MDD); significa anche attrezzatura semplificata e meno costosa. Al contrario, nell’immersione con decompressione omettere le soste significa aumentare il rischio di MDD, e significa anche aggiungere un altro problema a quello eventualmente già esistente.

 

Com’è possibile che per certe immersioni siano indispensabili le soste di decompressione e per altre no? La risposta a questa domanda è legata alla fisiologia della respirazione dei gas compressi.

 

Il subacqueo in immersione respira aria, la stessa che respiriamo tutti, ma la respira ad una pressione aumentata, in ogni momento uguale alla pressione dell’ambiente in cui si trova. Com’è noto dalle esperienze di Galileo Galilei e di Evangelista Torricelli, a livello del mare la pressione dell’aria che ci circonda è circa uguale ad 1 atmosfera. Sott’acqua la pressione aumenta di 1 atmosfera ogni 10 metri di profondità: così a 20 metri il subacqueo respira aria alla pressione di 3 atmosfere (o 3 bar), a 35 metri respira aria alla pressione di 4.5 atmosfere, e così via. È l’erogatore, quello strumento che il sub ha in bocca, che regola la pressione dell’aria respirata (in inglese “erogatore” si dice appunto “regulator”): se così non fosse il sub si troverebbe nei polmoni aria alla pressione di 1 atmosfera e sarebbe circondato da acqua ad una pressione di molto superiore; l’effetto finale sarebbe lo schiacciamento del torace e l’impossibilità di ventilare. Il subacqueo respira dunque aria compressa.

 

L’aria è un gas composto fondamentalmente da ossigeno e azoto. Assieme costituiscono il 99% della miscela, ma si può approssimare dicendo che l’aria è composta da ossigeno per il 21% e da azoto per il 79%. L’ossigeno inalato viene impiegato per i processi metabolici vitali dell’organismo e, pertanto, viene “consumato” e non entra nella genesi della MDD. L’azoto, viceversa, è un gas inerte, non prende parte ai processi vitali e, pertanto, la stessa quantità d’azoto che viene inspirata daltev’essere anche espirata; è il gas maggiormente rappresentato nell’aria, e quindi la sua presenza non può essere trascurata.

 

L’azoto è il gas responsabile della MDD, e gli studi sulla sicurezza della risalita riguardano i processi dell’eliminazione dell’azoto compresso nell’organismo del subacqueo. Durante la fase di discesa, infatti, l’azoto viene compresso nei tessuti corporei. Se la pressione dell’aria alla superficie è di 1 atmosfera, l’azoto esercita una pressione di 0.79 atmosfere (legge di Dalton), e tale è pure la pressione dell’azoto nei tessuti corporei. Ma quando, ad esempio, il subacqueo scende a 30 metri la pressione dell’aria che respira è di 4 atmosfere ed il 79% di questa è data dalla presenza dell’azoto: a 30 metri l’azoto ha una pressione di 3.16 atmosfere. Supponendo un ideale, e nella realtà inesistente, istante iniziale la situazione sarebbe d’azoto presente nei polmoni alla pressione di 3.16 atmosfere, e nei tessuti corporei invece alla pressione di 0.79 atmosfere, generando quindi un differenziale pressorio di 2.37 atmosfere che finirebbe per “spingere” l’azoto nei tessuti e qui “comprimerlo”.

 

La fase di discesa è la fase di compressione del subacqueo e si arresta quando le due pressioni si equilibrano (saturazione tissutale). Occorrerà, pertanto, un certo tempo per giungere all’equilibrio, e questo tempo varia da tessuto a tessuto, a seconda della costituzione anatomica del tessuto medesimo. Così, dopo 10 minuti di permanenza ai 30 metri dell’esempio, alcuni tessuti avranno raggiunto l’equilibrio, altri lo raggiungeranno se aumenterà il tempo di permanenza a quella profondità, altri ancora non lo raggiungeranno mai: il tempo di un’immersione sportiva senza decompressione in relazione alla scorta d’aria disponibile, mediamente di 45-60 minuti, non è sufficiente a “saturare” d’azoto tutti i tessuti. Ma in qualunque tessuto, dopo qualunque tempo d’immersione, la pressione dell’azoto sarà maggiore della pressione dello stesso azoto nell’aria atmosferica. Quanto maggiore è il tempo di permanenza in profondità tanto più i tessuti si avvicineranno alla condizione di saturazione.

 

Durante la fase di risalita l’azoto viene decompresso dai tessuti corporei per un processo identico ma inverso a quello descritto: la pressione dell’azoto nell’aria respirata dal subacqueo diminuisce progressivamente ed il differenziale pressorio è diretto in senso tessuti-polmoni. Ed accade quello che tutti osserviamo nello stappare una bottiglia di champagne: se la diminuzione pressoria è brusca si formano le bolle gassose, ma se la diminuzione è lenta le bolle non si formano. Per tale motivo il ritorno del subacqueo alla superficie dev’essere lento, sempre e comunque, sia nelle immersioni con decompressione che in quelle senza decompressione: è una regola fondamentale della sicurezza. La fase di risalita è la fase di decompressione del subacqueo: i tessuti corporei rilasciano l’azoto compresso, cioè si decomprimono.

 

In immersioni profonde (nelle quali è più alta la pressione dell’azoto respirato) e/o prolungate (nelle quali aumenta il tempo d’esposizione all’azoto) c’è la necessità di rallentare la fase di risalita, per permettere la decompressione graduale dell’azoto ed evitare la MDD, mediante l’accorgimento di eseguire delle soste a quote prefissate: le soste di decompressione. Ma esistono delle coppie di profondità/tempo entro le quali le tappe decompressive non sono necessarie: purché la risalita sia comunque lenta, si può ritornare direttamente alla superficie. Ponendo su grafico queste coppie si ottiene quella che si chiama CURVA DI SICUREZZA. Si scopre così, ad esempio, che il tempo massimo consentito a 20 metri, per poter risalire direttamente alla superficie, è di 45 minuti, e come questo tempo massimo aumenti per immersioni a profondità inferiori e, viceversa, diminuisca per profondità superiori. Il tempo massimo di permanenza ad una certa profondità per poter tornare direttamente alla superficie si chiama LIMITE DI NON DECOMPRESSIONE (Non Decompression Limit = NDL). E da questa curva si evince qual è il motivo per cui i 40 metri siano considerati il limite assoluto di profondità delle immersioni sportive senza decompressione.

 

Non è che non si possano varcare i limiti di non decompressione o che non si possano superare i 40 metri di profondità: bisogna cambiare tecnica, bisogna programmare soste di decompressione adeguate, bisogna cambiare attrezzatura e renderla idonea alla gestione di un’eventuale emergenza, senza che l’emergenza medesima costringa a risalire rapidamente creando un altro problema oltre a quello che si è verificato. Bisogna giungere all’immersione con decompressione, per chi lo desidera, dopo una solida esperienza maturata nelle immersioni senza decompressione.

 

Non spaventiamoci. Non è necessario conoscere a memoria la curva di sicurezza, e non è nemmeno possibile perché è ben raro che un’immersione si svolga tutta alla stessa profondità. Nelle immersioni a livelli multipli – si pensi all’esplorazione di una parete rocciosa sottomarina – i dati pressori dell’azoto vanno interpolati d’istante in istante. Tutti noi, una volta raggiunto il brevetto iniziale che ci consente di immergerci autonomamente sapendo usare la tabella che il dottor Rogers ha creato, ossia il PIANIFICATORE DI IMMERSIONI RICREATIVE (RDP = Recreational Dive Planner), abbiamo sentito la necessità di dotarci del COMPUTER SUBACQUEO, uno strumento da polso che in ogni istante dice qual è il tempo residuo a quella profondità per poter tornare alla superficie senza soste di decompressione. Il computer subacqueo dà il valore istantaneo del limite di non decompressione tenendo conto del tempo già trascorso; una sorta di conto alla rovescia.

 

Il pianificatore d’immersioni ricreative e gli algoritmi su cui si basa il funzionamento dei computer subacquei sono stati creati in condizioni sperimentali, sulla base delle nozioni della fisica dei gas e della conoscenza delle leggi che regolano l’assorbimento dei gas da parte dell’organismo, e sono stati poi verificati in condizioni reali d’immersione. Ovviamente i computer, per quanto precisi, non possono tenere però conto delle condizioni fisiologiche che possono variare da subacqueo a subacqueo e, nello stesso individuo, di giorno in giorno.

 

Ma è ormai certo che l’osservanza delle regole della risalita sicura, quali il rispetto dei limiti di non decompressione per mezzo della tabella o del computer e la risalita lenta con respiro continuo mai trattenuto, minimizza a meno dell’1% il rischio d’incidente decompressivo e rende l’immersione un’attività sportiva sicura ed alla portata di tutti.

 

Francesco Morosetti, istruttore PADI (GAMMASUB Trieste)

 

 
In collaborazione con Help!

 

 


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