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Giù le mani dai bambini

 |  Redazione Sconfini

Negli Stati Uniti, ad oltre 11 milioni di bambini ed adolescenti, vengono somministrati quotidianamente derivati anfetaminici (il Ritalin, principio attivo il metilfenidato) e psicofarmaci vari per cercare di risolvere i loro disagi. Poche settimane fa la stampa internazionale ha riportato l'allarme lanciato da psichiatri e psicoterapeuti dopo che l'Agenzia europea per il farmaco ha deciso di abbassare da 18 a 8 anni l'età a partire dalla quale sarà possibile somministrare psicofarmaci.

 

Una decisione che ha fatto scalpore e che è stata presa dall'Emea (Agenzia Europea per i Medicinali) per combattere l'aumento di fenomeni di depressione tra i minori. Diverse associazioni di genitori, i cui figli sono apparsi affetti da questi problemi comportamentali e che hanno apparentemente trovato nelle terapie a base di psicofarmaci la soluzione ai disagi, promuovono intense campagne finalizzate ad orientare l'opinione pubblica creando accettazione per la soluzione farmacologica. Per contro la giustizia ordinaria si sta occupando di alcuni casi: ad esempio, il Procuratore della Repubblica di Torino Raffaele Guariniello ha recentemente iscritto sul registro degli indagati 74 medici che prescrivevano con frequenza psicofarmaci che potevano indurre i bambini al suicidio. Da qualche anno, poi, ha preso anche il via una campagna sociale di sensibilizzazione contro gli abusi nella somministrazione di psicofarmaci a bambini ed adolescenti da parte del comitato "Giùlemanidaibambini". Nella nostra regione, uno dei principali portavoce di quest'ultima corrente è il dottor Marco Bertali, psichiatra, psicologo e psicoterapeuta, dal 1983 impegnato presso il Centro di Salute Mentale di Gorizia "Alto Isontino Integrato".

 

Dottor Bertali, quando un bambino o un adolescente è considerato affetto da sofferenze psichiche?

"Secondo i primi studi effettuati in materia agli inizi degli anni '80, i bambini etichettati come malati presentano alcune caratteristiche che vanno dalla distrazione all'irrequietudine, dall'ansietà alla tristezza: inoltre, possono essere ingestibili e irrispettosi dell'insegnante o aggressivi nei confronti dei compagni di classe. Attualmente nel Manuale Diagnostico e Statistico (DSM), il testo di riferimento per la psichiatria mondiale ad indirizzo diagnostico-prescrittivo, alcuni di questi disagi sono stati catalogati come una vera e propria malattia, l'ADHD (Disturbo da deficit dell'attenzione e iperattività)".

 

La disattenzione e l'iperattività sembrano caratteristiche comuni a molti bambini. Come individuare quello realmente "malato"?

"Purtroppo viene utilizzato un sistema totalmente fuorviante; infatti, per perfezionare una diagnosi di ADHD è sufficiente che chiunque ne abbia interesse riempia con delle crocette le caselle degli appositi questionari. Sono sufficienti sei risposte affermative su nove (su una di due diverse liste) e la diagnosi è perfezionata. A mio parere la cosa è grave se si tiene conto dell'entità delle domande. Per esempio, nel questionario riferito anche ai bambini della scuola materna troviamo: "Muove spesso le mani o i piedi o si agita sulla sedia? È distratto facilmente da stimoli esterni? Ha difficoltà di giocare quietamente? Spesso chiacchiera troppo? Spesso origina delle risposte prima che abbiate finito di fare la domanda? Spesso sembra non ascoltare quanto gli avete detto?". Non credo sia difficile trovare in un bambino atteggiamenti di questo tipo...".

 

Quali sono i dati riguardanti l'Italia?

"Per quanto concerne l'Italia le cifre sono contrastanti: secondo i ricercatori dell'Istituto Mario Negri di Milano, il disturbo colpirebbe non più del 7 per mille della popolazione scolastica; secondo il Dipartimento di neuropsichiatria infantile dell'Università di Roma, il 3% dei bambini in età scolare; e secondo una circolare dell'Asl di Oristano circa il 20%. Il "Progetto Prisma", ricerca nazionale finanziata con fondi del Ministero della Salute, poi, ha recentemente presentato le proprie conclusioni: 10 bambini su 100 in Italia presenterebbero i sintomi del disagio mentale ed andrebbero quindi sottoposti a terapie a base di psicofarmaci. Trovo che ci sia molta confusione".

 

Chi può decidere di somministrare uno psicofarmaco?

"Una volta il compito era affidato quasi esclusivamente agli specialisti, ora purtroppo il sistema sta cambiando e si assiste sempre più a prescrizioni fatte da medici di base e pediatri".

 

In quali casi gli esperti deciderebbero di somministrare degli psicofarmaci ai bambini?

"Una diagnosi di ADHD non fatta per tempo, secondo i sostenitori delle terapie a base di psicofarmaci, può condurre ad una realtà quotidiana di terapie inefficaci, psicoterapie protratte per anni senza risultati e denunce ai genitori per i danni arrecati dai figli. Essi sostengono che un bambino con ADHD non sottoposto a terapia diverrà un adolescente con gravi disagi psichiatrici e un adulto maggiormente esposto a disturbi di condotta, depressivi o ansiosi. Quindi lo psicofarmaco è, secondo loro, la migliore, la più efficace e la più rapida delle soluzioni possibili per rimediare a questi disagi. La letteratura, in particolare quella psichiatrica ad orientamento diagnostico-prescrittivo, apparirebbe concorde nell'indicare gli psicofarmaci quale decisiva risorsa terapeutica, sperimentata con efficacia direttamente sui bambini. Per gli esperti che come me, invece, appartengono alla categoria dei dissidenti dello psicofarmaco, questa sostanza dovrebbe essere usata solo in rarissimi ed estremi casi, auspicabilmente mai".

 

Quali sono le conseguenze che con un'assunzione di questo tipo potrebbero avvenire in un bambino?

"Sicuramente la dipendenza, ma quel che è peggio è l'impossibilità della presa di coscienza del proprio disagio. Lo psicofarmaco, infatti, va ad incidere sul sistema nervoso e lo altera con molecole chimiche. A quel punto qualsiasi percorso psicologico per uscire dal disagio è vano, dal momento che va a confrontarsi con un individuo non "lucido", comunque alterato. Questo, a mio parere, vale anche per gli adulti, che spesso preferiscono accantonare il vero problema assumendo sostanze in grado di glissarlo momentaneamente; del resto, è proprio su questa aspettativa di risoluzione rapida, deresponsabilizzante ed "indolore", che specula l'industria del farmaco per allargare il mercato. Ma questo ovviamente non significa guarire. Nel caso dei bambini, inoltre, dove il sistema nervoso è in formazione, un'assunzione di questo tipo potrebbe causare dei danni irreparabili. Una recente ricerca dimostra che il trattamento con alcuni tipi di psicofarmaci altera in misura significativa in età adulta la risposta comportamentale alle emozioni, e inoltre l'esposizione a psicofarmaci stimolanti può ridurre la capacità di specifiche cellule cerebrali. In un'altra ricerca scientifica gli esperti hanno effettuato una serie di esperimenti per studiare come gli psicofarmaci interagissero per produrre cambiamenti nella struttura del cervello, ed hanno scoperto che questi psicofarmaci aumentano la ramificazione e la densità dei neuroni in alcune regioni, riducendola però in altre, causando quindi una diversa reazione ai cambiamenti strutturali indotti dall'ambiente e dall'esperienza. Tra le controindicazioni anche il fatto che l'uso quotidiano di psicofarmaci stimolanti rallenta in modo significativo la crescita dei bambini e, in alcuni casi, può arrestare quasi completamente lo sviluppo".

 

Quale sarebbe, quindi, un sistema meno invasivo di cura?

"Io credo che il bambino abbia semplicemente bisogno di essere ascoltato. Questo è un compito che spetta in prima istanza ai genitori. I figli vanno seguiti quotidianamente. Troppo spesso vengono lasciati ore davanti alla televisione, al computer o ai videogiochi, sottovalutando il forte impatto emotivo di tutti questi elementi, che, se in eccesso, possono incidere anche sul comportamento del bambino. Ma anche la società ed il sistema sanitario dovrebbero essere vicini ai cittadini. Per questo sarebbe opportuno che gli esperti in neuropsichiatria e psicologia dei centri di riferimento territoriale si affianchino al lavoro dei pediatri e dei medici di base, al fine di assicurare ai bambini in difficoltà un corretto percorso diagnostico e curativo. In tal senso, a mio avviso, oltre ad un intervento psicoterapeutico, dovrebbero essere garantite tecniche olistiche di modifica psicosomatica e riequilibrio energetico, come, per esempio, musico-terapia, teatro-terapia, training autogeno, yoga, meditazione. Così l'intervento farmacologico sarebbe solo l'ultimissima e rarissima risposta: le multinazionali del farmaco certamente non ne sarebbero contente, ma tanti bambini e adolescenti e tanti genitori proprio sì...".

 

Silvia Stern

 

 
In collaborazione con Help! 

 

 


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