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Tabagismo, una malattia da dipendenza

 |  Redazione Sconfini

 

Negli ultimi 40 anni l’abitudine al fumo è socialmente cambiata: la percentuale di fumatori uomini (storicamente maggiore) si è progressivamente ridotta, mentre è aumentata quella delle donne fino a raggiungere nei due sessi valori paragonabili.

In Friuli Venezia Giulia i fumatori sono pari al 26%, gli ex fumatori al 24% e i non fumatori al 50%. Tassi di fumatori più elevati (33%) si osservano nell’Ass n. 1 “Triestina” mentre i più bassi (22%) si osservano nell’Ass n. 4 “Medio Friuli”.

 

Evidenze scientifiche concordano nel dimostrare che la sospensione del fumo dimezza il rischio di infarto al miocardio già dopo un anno dalla stessa; dopo 15 anni il rischio diventa pari a quello di un non fumatore. I fumatori che smettono prima dei 50 anni riducono della metà il proprio rischio di morire nei successivi 15 anni rispetto a coloro che continuano a fumare.

 

L’abitudine al fumo è dipendenza e gestualità rassicurante, piacere e contemporaneamente bisogno e sostegno. Il fumo è uno stile di vita o una malattia inserita nelle dipendenze da sostanza? “È uno stile di vita, un comportamento diffuso (nel dopoguerra interessava oltre il 63% della popolazione adulta) che si caratterizza di gestualità e ritualità rassicuranti e confortanti”, risponde il dottor Claudio Poropat, medico e psicoterapeuta del Centro per la prevenzione e cura del tabagismo del Dipartimento delle Dipendenze dell’Ass n. 1 “Triestina”. “Il bruciare una sostanza, la bolla di fumo che avvolge e isola, il piacere soggettivo e la complicità collettiva – continua Poropat – sono aspetti che contribuiscono a definire un’abitudine, una pratica consolidata dalle molteplici sfaccettature, ai quali si uniscono le evidenze più o meno recenti che interessano le determinanti della dipendenza biologica. Si sono ormai definiti i neurotrasmettitori e i siti cerebrali dove questi sono particolarmente attivi e modulano la dipendenza da nicotina: sono responsabili della dipendenza fisica per la quale il tabagismo è a tutti gli effetti una malattia da dipendenza, che rende necessario e utile un adeguato intervento sanitario integrato, curativo e preventivo”.

 

In Italia, come in tutto il mondo occidentale, si è detto e si ripete che il fumo attivo costituisce un importante problema di sanità pubblica: è il principale fattore eziologico di molti tipi di neoplasie (polmoni, rene, pancreas, vescica, laringe, esofago e leucemie) e di diverse patologie di natura non neoplastica (broncopneumopatia cronica ostruttiva e malattie cardiovascolari). Oltre agli effetti dovuti all’azione diretta del fumo di sigaretta sui fumatori attivi, è ben documentata anche l’associazione fra esposizione al fumo passivo e alcune condizioni morbose cui sono particolarmente soggetti i bambini, gli anziani e le persone con una storia pregressa di malattie respiratorie o cardiovascolari. In Italia ci sono 15 milioni di fumatori involontari (dizione migliore rispetto a fumatori passivi), di cui 4 milioni di bambini che sono esposti per il 68% al fumo di una persona e per il 28% al fumo di due. Il 48% di tutti i bambini in età prescolare vive con almeno un fumatore in casa. Per i bambini esposti vi è un eccesso di percentuale di rischio rispetto ai non esposti per otiti medie, asma, dispnea, sindrome catarrale, secondo uno studio condotto in collaborazione con l’ospedale Burlo Garofolo di Trieste sull’esposizione al fumo passivo.

 

Nel 1999 l’Ufficio VI° del Dipartialtmento di Prevenzione del Ministero della Salute stimava in 30.000 miliardi di lire (pari a 15,5 miliardi di euro) i costi sanitari del tabagismo, corrispondenti all’epoca ad un quarto delle spese sanitarie pubbliche. Una cifra consistente! La scarsità di risorse di fronte a una spesa sanitaria in continuo aumento, quindi, pone la necessità di scelte oculate nei vari settori di intervento: se non ci si vuol far guidare dall’allarme sociale, la scelta da sostenere è il ricorso a una corretta epidemiologia che consenta poi una gestione attenta delle risorse, anche nel senso del rapporto costo/beneficio. Serve in definitiva un sistema armonico di raccolta dati, di controllo sia sociale che sanitario del tabagismo (la Legge n. 3/2003 appare non del tutto sufficiente a causa di persistenti problemi di interpretazione giuridica e di applicabilità dei controlli e delle sanzioni, anche se importanti risultati li ha dati). La comprensione e la conseguente capacità di governare la complessa interazione tra prevenzione e trattamento, saranno decisive per la gestione della salute pubblica anche in virtù di dati che, seppur in maniera non omogenea, indicano che è in aumento la percentuale di giovani che fumano, e con un esordio sempre più precoce nel periodo adolescenziale.

 

La misura della gravità dell’abitudine al fumo negli adolescenti è data dalla prevalenza d’uso e dallo sviluppo della dipendenza. Gli adolescenti hanno con il fumo rapporti più variabili rispetto all’adulto: da sperimentatori a fumatori giornalieri. “Più che per imitazione, per esprimere trasgressione e contestazione – sostiene Poropat – ma l’esordio è sempre più precoce: la fase di contatto con il fumo avviene nella prima adolescenza. Dopo una fase preparatoria o di avvicinamento, sicuramente la più modificabile, è probabile che i fumatori diciottenni, con un uso del tabacco molto diversificato per frequenza, diventino nella quasi totalità fumatori giornalieri raggiunta la classe di età 25-34 anni. L’insorgenza della dipendenza, misurata come perdita di autonomia nei confronti del tabacco, è molto più precoce di quanto ritenuto fino a pochi anni fa e nell’ordine di mesi piuttosto che di anni a partire dal primo uso in virtù dell’immaturità di certe aree corticali in questa delicata fase della vita. Di conseguenza, bisogna anticipare l’area della prevenzione ed aumentare l’area degli interventi di cessazione con metodiche che devono prevedere prima di tutto le “scuole libere dal fumo”: non solo nell’interno di aule, corridoi e bagni, ma anche nei cortili. Qui infatti si svolgono frequentemente i riti collettivi di fumo nei quali studenti e professori fumatori vivono una sorta di omologazione, certamente coinvolgente ma non educativa, che va scoraggiata”.

 

Si inizia a fumare più o meno precocemente, si è consapevoli dei rischi e dei problemi connessi, ma la decisione di smettere si rimanda sempre. Il tabagismo è una dipendenza che crea meno “allarme” dell’alcool e delle droghe illegali per il fatto che i danni prodotti non sono immediati ma si rendono evidenti dopo 20-40 anni. Il 98% degli ex fumatori ha smesso di fumare da solo, meno dell’1% riferisce di aver avuto l’aiuto da parte di un operatore sanitario, più della metà dei fumatori ha ricevuto il consiglio di smettere (secondo lo Studio Passi nella provincia di Trieste, ma anche i dati relativi alle Ass regionali e nazionali partecipanti confermano la tendenza dei fumatori a gestire il problema da soli).

 

Smettere di fumare – ammette il dottor Claudio Poropat – non è facile: la buona volontà non basta per i motivi di dipendenza fisica e psicologica connessi. E prova ne è il basso tasso di dismissione: circa il 2,5% smette all’età di 50-65 anni dopo 20-40 anni di fumo, dopo molti inutili e reiterati tentativi”. “A fronte di questa difficoltà oggettiva – prosegue – vi è l’offerta diversificata di metodi efficaci o sedicenti tali per smettere. Il trattamento che fornisce maggiori garanzie è quello che prevede la combinazione di terapia farmacologica, frequenza dei gruppi di sostegno e applicazione di consigli comportamentali. È questa la combinazione che viene consigliata ai pazienti del nostro Centro per la prevenzione e cura del tabagismo (come in altri 346 sul territorio nazionale) e del suo ambulatorio, in un’ottica dialettica di condivisione del progetto terapeutico che deve essere sempre personalizzato. A tal fine sviluppiamo progetti integrati e coordinati in rete con medici di medicina generale e specialistica verso pazienti affetti da patologie particolari, come ad esempio il diabete”.

 

Oltre ad offrire l’ennesima motivazione sul perché e quando smettere, il Centro dice anche come. “Il fai da te – rileva Poropat – assicura una minima percentuale di risultati, mentre smettere con il supporto del personale adeguatamente preparato e il sostegno farmacologico aumenta di molto la probabilità di successo (41% nel nostro ambulatorio). L’iter diagnostico-terapeutico, in cui si valuta l’introduzione di una farmacoterapia per alleviare la sintomatologia astinenziale e fornire al paziente uno strumento di risposta alla pressione psicofisica causata dalla mancanza di nicotina, si conclude con la verifica dell’astinenza, la frequenza dei gruppi di sostegno, l’applicazione dei consigli che portano ad essere, dopo sei mesi di astinenza dal fumo, un ex fumatore”.

 

“Il sostegno psicoterapeutico – precisa il dottor Alessandro Vegliach, psicologo e psicoterapeuta dell’ambulatorio del Centro per la prevenzione e cura del tabagismo – aiuta il paziente in trattamento a gestire la componente psicologica perché mentre la componente di dipendenza fisica rientra dopo 1-2 settimane, la componente di dipendenza psicologica dura molto più a lungo, per alcuni aspetti perdura dopo anni di astinenza. Per l’ex fumatore la sigaretta non sarà mai uno stimolo neutro: una vulnerabilità verso la sigaretta rimane, e rimarrà per tutta la vita. Ad esempio, in periodi di particolare stress, anche dopo anni di astinenza si può ricontattare la sostanza che risulta poi difficile da gestire”. La consapevolezza della vulnerabilità per la sostanza è la prima, e forse la più importante, difesa dalla ripresa del fumo. “Ai portatori di dipendenza – spiega in conclusione Vegliach – cerchiamo di fornire alcuni strumenti efficaci per l’autonomia funzionale che segue il percorso di cura presso il nostro Centro. Il messaggio che tentiamo di far passare è che oltre alla rielaborazione dei vissuti del periodo astinenziale, è importante acquisire strumenti di autocompensazione per il tempo a venire”.

Ignazia Zanzi

  


 

SMETTI DI FUMARE... E VINCI IN SALUTE

 

Il Centro interdipartimentale Prevenzione e cura del tabagismo dell’Ass n. 1 “Triestina”, in collaborazione con i farmacisti di Trieste, sostiene un progetto che attraverso un test misura il grado di dipendenza fisica dal tabacco. Il test fornito in farmacia misura la dipendenza e la motivazione, e dalla combinazione di queste offre indicazioni per smettere e verifica i possibili risultati.

 

I vantaggi per chi smette? L’orologio del benessere indica: dopo 24 ore senza fumo il battito cardiaco si regolarizza, diminuiscono i rischi di aritmie cardiache; dopo qualche giorno senza fumo la pressione arteriosa tende ad abbassarsi, odorato e gusto migliorano; dopo 2 mesi senza fumo diminuiscono tosse e catarro, la pelle diviene più rosea ed elastica; dopo 6 mesi aumenta il vigore sessuale; dopo un anno si dimezza il rischio di attacco cardiaco; il rischio tumorale diminuisce in modo proporzionale al perdurare dell’astinenza.

 

  
In collaborazione con Help!

 

 


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