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Donne ed endometriosi: una sofferenza incompresa

 |  Redazione Sconfini

Il termine endometriosi deriva da endometrio, che è la mucosa della cavità uterina, cioè lo strato di rivestimento che la tappezza all’interno. La presenza di endometrio al di fuori della cavità uterina, più frequentemente nel basso addome, è definita endometriosi.


L’endometrio è dunque un tessuto normale e di per sé l’endometriosi non è una malattia, ma in alcuni casi lo diventa: è un enigma la sua origine, per la quale ci sono solo ipotesi ma non certezze. È spesso un enigma correlare i sintomi, quando presenti, ai rilievi oggettivi. È un enigma capire perché la “gravità” dei sintomi non sia sempre correlata alla “gravità” dei quadri anatomici osservati e perché certe donne manifestino dei sintomi e non altri: quadri modesti sono apparentemente causa di sintomi a volte importanti mentre, viceversa, quadri avanzati non danno a volte che sintomi modesti. È un enigma la scelta della terapia appropriata: una vera soluzione non esiste ancora, rimanendo l’endometriosi una malattia – quando lo è – cronica e sostanzialmente inguaribile, e le scelte curative, lungi dal risolvere definitivamente il problema, possono solo essere modulate sulle esigenze della singola paziente.


L’endometriosi è strettamente correlata all’attività mestruale: interessa quindi solo le donne in età fertile ed è destinata a scomparire con la menopausa. Non compromette la durata ma, semmai, la qualità della vita. È probabilmente un processo parafisiologico che in molte donne non dà alcun segno di sé; può essere però causa d’infertilità, di dolore pelvico cronico o della formazione di cisti ovariche (in questi casi diventa malattia). L’endometriosi è una causa frequente d’infertilità, ma non tutte le donne con endometriosi sono infertili né tutte le donne infertili hanno l’endometriosi; è una causa frequente di dolore pelvico cronico, ma non tutte le donne con endometriosi soffrono di dolore pelvico cronico né tutte le donne con dolore pelvico cronico hanno l’endometriosi; può determinare la formazione di cisti ovariche ma non tutte le donne con endometriosi sono portatrici di cisti ovariche né tutte le cisti ovariche sono di origine endometriosica.


Come se non bastasse, la diagnosi di endometriosi è difficile: gli esami strumentali per immagini (ecografia, TAC, risonanza magnetica nucleare) sono assai frequentemente negativi anche in presenza di malattia e quindi non sono di alcun aiuto. La presenza di endomaltetriosi può essere intuita dalla storia clinica di una donna affetta da infertilità o da dolore pelvico cronico, e dall’esame ginecologico, ma la conferma può essere raggiunta solo attraverso un approccio chirurgico – laparoscopico o tradizionale – che consenta di vedere la malattia all’interno dell’addome e le eventuali conseguenze che essa ha provocato.


L’endometriosi è un grosso problema della ginecologia moderna, di cui si parla poco probabilmente per due motivi: innanzitutto perché poco se ne sa e poi perché, a differenza di altre problematiche come la contraccezione o la menopausa o la prevenzione dei tumori, non interessa la maggioranza delle donne. Per queste donne però il problema può essere veramente importante e richiedere scelte difficili; talora può non avere alcuna soluzione.


Perché solo alcune donne in età fertile sviluppano l’endometriosi? La risposta a questa domanda è pressoché avvolta dal mistero. Si ritiene attualmente – è l’ipotesi più accreditata – che entrino in gioco dei fattori immunitari. I frammenti di endometrio “normali” che raggiungono sedi per loro “anormali” sarebbero riconosciuti come estranei dal sistema immunocompetente della maggior parte delle donne e ne sarebbero distrutti e quindi eliminati. Un difetto di riposta immunitaria sarebbe la causa che permette agli stessi frammenti “normali” d’impiantarsi in sedi “anormali” nelle donne che svilupperanno l’endometriosi; una volta impiantatisi, questi frammenti potranno crescere, subire le variazioni imposte dalla stimolazione ormonale ciclica, dare origine alle micromestruazioni endoaddominali, sfaldarsi e diffondersi in altre sedi aumentando l’estensione di un processo formato dalla coesistenza di singole, piccole, millimetriche lesioni in cui ciascuna mantiene le caratteristiche di quella iniziale da cui è generata. Con l’eccezione delle cisti dell’ovaio, il quadro macroscopico dell’endometriosi è costituito da un numero variabile (da poche ad alcune decine) di lesioni della grandezza di pochi millimetri, distribuite a spruzzo nel basso addome con una disposizione casuale ed associate o meno alla presenza di aderenze.


Non esiste attualmente nessun esame diagnostico (ecografia, TAC, risonanza magnetica nucleare) in grado di tradurre in immagini queste lesioni che hanno dimensioni sempre al di sotto del potere risolutivo dei vari tipi di energia fisica impiegati in diagnostica. Nemmeno l’ecografia, che è il più prezioso ausilio diagnostico attualmente nelle mani del ginecologo, è in grado di rivelare la presenza dell’endometriosi, con l’unica eccezione delle cisti dell’ovaio che possono essere sì viste in ecografia, ma non sono presenti in tutti i casi.


Ne consegue quindi che il ginecologo sa che non può affidare la diagnosi di endometriosi agli esami strumentali: un’ecografia negativa in una donna con problemi d’infertilità o di dolore pelvico cronico non esclude la presenza di cause ginecologiche che possano spiegare queste due problematiche. La conferma dell’esistenza (o dell’assenza) di un processo endometriosico si può ottenere soltanto attraverso la visione diretta della cavità addominale, cioè attraverso un esame endoscopico. La laparoscopia è l’esame endoscopico che consente la visione della cavità addominale: è un intervento chirurgico in piena regola, benché – come si dice – miniinvasivo, e richiede l’anestesia generale. Come ogni intervento chirurgico, piccolo o grande che sia, implica l’assunzione di un certo rischio. Qualora si rinunci alla laparoscopia si ha la consapevolezza che una donna potrà presentare al massimo i sintomi dell’endometriosi, ma non sarà mai possibile formulare una diagnosi definitiva che confermi od escluda la diagnosi supposta.


Non esiste una vera terapia risolutiva che conduca all’eradicazione dell’endometriosi, consentendo al tempo stesso di conservare l’integrità dell’apparato genitale, di ripristinare o aumentare il potenziale riproduttivo spontaneo e di risolvere il dolore. O non esiste ancora. La terapia combinata, prima chirurgica (da valutare con particolare attenzione in ogni caso personale) e poi medica-farmacologica (pillola anticoncezionale fino alla menopausa farmacologica), può migliorare la prognosi riproduttiva ed ottenere un controllo più adeguato sul dolore pelvico di quanto possa la chirurgia da sola. Il trattamento farmacologico postoperatorio può migliorare la fertilità ed il controllo del dolore pelvico agendo sulle lesioni endometriosiche residue alla chirurgia, ma non influenza granché i quadri di dolore pelvico associato agli stadi più avanzati della malattia. Dopo la menopausa l’endometriosi si spegne spontaneamente.


Per alcune donne affette da endometriosi i rapporti sessuali possono costituire un problema significativo. Poiché è la penetrazione profonda a suscitare il dolore, ci sono delle posizioni, che la coppia facilmente scopre, che rendono possibile il rapporto mentre altre lo rendono doloroso; inoltre può essere limitata la profondità della penetrazione in modo tale da non causare dolore. Può essere dato uno spazio maggiore a tutte quelle attività che conducono all’intimità ed al piacere. È importante il coinvolgimento del partner e le pazienti non devono sottostimare l’importanza del dialogo, di parlarsi dei propri sentimenti, del lavoro, dei coinvolgimenti familiari che l’endometriosi spesso finisce col condizionare.


Per alcune donne l’endometriosi può finire con l’essere una malattia che dà dolore cronico, invincibile ed ingestibile, che condiziona pesantemente la vita. Ed il non riuscire a trovare una soluzione, nemmeno con l’aiuto del medico e dopo aver provato tutto ciò che è possibile tentare, crea una tendenza all’isolamento ed alla perdita del senso di autostima che finiscono per peggiorare significativamente la situazione. Per queste donne, per uscire da questo vicolo buio, il supporto psicologico, ad integrazione della gestione medica, può contribuire a migliorare la qualità della vita là dove i medici, per quanto abbiano fatto, non arrivano o non arrivano più.


Questi aspetti della malattia endometriosica hanno determinato la nascita dei gruppi di auto-aiuto che fanno capo all’Associazione Italiana Endometriosi (A.I.E.). I gruppi di auto-aiuto sono formati dall’Associazione volontaria di donne che hanno sofferto o continuano a soffrire di endometriosi e che si sentono di poter aiutare, in forza delle esperienze personali vissute, altre donne che soffrono del loro stesso problema. Tutto questo nel tentativo di introdurre all’idea delle dimensioni di un problema ginecologico enigmatico e talora frustrante, per la donna e per il medico. Ma talora anche fonte di grandissime soddisfazioni almeno sul piano umano quando si riesce ad affrontarlo e risolverlo.

Ignazia Zanzi

 


In collaborazione con Help!

 


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