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La fissazione della residenza familiare

 |  Redazione Sconfini

Mi sono sposata tre anni ora sono con il preciso intento di adoperarmi al massimo per la buona riuscita del mio matrimonio, ma avendo sempre presente il rispetto per una certa autonomia rispetto al vincolo matrimoniale. In particolare in nome di questa mia autonomia mi sono sempre reputata libera di fissare la residenza familiare ove le necessità ed il mio stato d’animo mi portassero, senza per questo pregiudicare la lealtà del rapporto con mio marito. Ultimamente questi però insiste per raggiungere un accordo finalizzato a determinare, una volta per tutte, una residenza familiare condivisa, minacciando, in caso contrario, di chiedere la separazione con addebito a mio carico. Mi chiedo: è fondata la posizione assunta da mio marito?

Chiarisco subito alla lettrice che la riforma del diritto di famiglia (Legge 19 maggio 1975, n. 151) ha modificato in modo sostanziale i rapporti personali tra i coniugi, introducendo il principio dell’accordo alla base del governo della famiglia. L’art. 144 del Codice civile riconosce eguale posizione ai coniugi nella determinazione delle scelte familiari, affidando al consenso tra gli stessi la determinazione del cosiddetto “indirizzo della vita familiare” e attribuendo, disgiuntamente, a ciascuno di essi, il “potere di attuare l’indirizzo concordato”.
L’art. 144 c.c., infatti, stabilisce la regola generale e flessibile dell’accordo, senza predeterminarne i contenuti e senza alcun vincolo di forma: ovvero in altre parole la norma impone un metodo di gestione della vita coniugale, in virtù del quale le scelte di interesse comune devono essere sottoposte a un vaglio congiunto dei coniugi.
Tra le scelte di fondo che i coniugi debbono compiere congiuntamente, ai sensi dell’art. 144 c.c., vi è quella relativa alla fissazione della residenza familiare, cioè l’individuazione di un luogo in cui i coniugi hanno concordato di vivere abitualmente e in cui è principalmente organizzata la vita domestica del gruppo familiare. Tale scelta può essere variamente influenzata da esigenze individuali e familiari ed è strettamente connessa al dovere di coabitazione imposto ai coniugi dall’art. 143 del Codice civile. La legge indica quale criterio per la scelta di quest’ultima, le esigenze di entrambi i coniugi e quelle preminenti della famiglia stessa. In giurisprudenza è stato affermato il principio per il quale la scelta della residenza deve soddisfare in prima istanza le esigenze dei coniugi e quelle preminenti della famiglia nucleare e non solo quelle oggettive della famiglia patriarcale o quelle economiche dell’azienda del marito.
La residenza della famiglia, invero, è il necessario presupposto per l’adempimento dell’obbligo di coabitazione (cfr. art. 143 c.c.) che, sebbene possa essere inteso in modo elastico, non può prescindere da un contenuto minimo inderogabile. Essa non deve necessariamente coincidere con quella anagrafica di uno o addirittura di entrambi i coniugi, atteso che essendo correlata al dovere di abitazione, può essere individuata nel luogo ove essi hanno deciso di convivere con quella stabilità minima che è richiesta ai fini dell’assolvimento dell’obbligo in questione. Sicché la Corte di Cassazione ha ritenuto causa di addebito della separazione il comportamento del coniuge che, privilegiando una condotta di vita sregolata, si è rifiutato sistematicamente di fissare la residenza familiare. I giudici hanno però escluso l’addebito della separazione nel caso in cui la violazione del dovere di fissare concordemente la residenza familiare non sia causa ma effetto del disintegrarsi del consorzio familiare.
Ed ancora: l’art. 144 c.c. impone ai coniugi di individuare un accordo, in ordine alla fissazione della residenza familiare, accordo che i coniugi sono tenuti quantomeno a ricercare al fine di realizzare l’unità della famiglia. L’impossibilità di raggiungere un’intesa, quando essa sia stata effettivamente ricercata dai coniugi, potrà eventualmente avere gravi ripercussioni sulla prosecuzione del rapporto, ma non comporterà alcuna pronuncia di addebito, trovandosi i coniugi divisi da un contrasto inconciliabile. Al contrario, nel caso in cui il Giudice della separazione accerti l’esistenza di un preciso accordo, in ordine alla fissazione della residenza familiare, solo la violazione dell’accordo, che abbia avuto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale e non ne sia invece un semplice effetto, può portare a una pronuncia di addebito della separazione.
In conclusione, nel caso illustrato, poiché suo marito avrebbe compito facile nel dimostrare il rifiuto sistematico della moglie ad adempiere a questo obbligo di legge (la fissazione di residenza familiare, appunto), ritengo che il Giudice andrebbe ad accordare a suo marito il formale addebito della richiesta separazione, con tutte le conseguenze di legge (piuttosto pesanti soprattutto in punto assegno di mantenimento e regime patrimoniale in genere). Invito, pertanto, la lettrice a fare un passo indietro e concordare con il marito quanto questi richiede, trattandosi di richiesta di buon senso e soprattutto riconosciuta dalla legge come diritto-dovere per i coniugi.

foto: Daniel Von Appen


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