I freddi numeri del primo turno già avevano dato indicazioni forse per alcuni sorprendenti, ma chiarissime per chi è in grado di fare delle semplici somme ed interpretare i dati.
Ora, dopo i ballottaggi, i nodi sono venuti al pettine e anche chi fa difficoltà a comprendere i flussi elettorali si ritrova davanti a un'Italia radicalmente diversa da quella del 2008 e molto diversa da quella del 2013. Si tratta delle Italie palesatesi dopo le ultime elezioni politiche, le più importanti tra le competizioni elettorali. Più ancora di queste fondamentali amministrative.
Per comprendere la portata di queste ultime prendiamo il caso di Torino: nel 2009, dopo aver estromesso Beppe Grillo dalle primarie per la segreteria del PD a cui aveva provocatoriamente tentato di partecipare, Piero Fassino disse "Se Grillo vuol fare politica fondi un partito, si presenti alle elezioni e vediamo quanti voti prende". Sette anni dopo, proprio Fassino viene sconfitto quale sindaco uscente della sua Torino (città da sempre amministrata dalla sinistra) al ballottaggio da Chiara Appendino del Movimento 5 Stelle in grado di conquistare un netto 54,6%.
A Roma poi, Virginia Raggi sempre del M5S, è stata protagonista di un ballottaggio quasi plebiscitario che ha polverizzato le speranze del PD renziano (e di Mafia Capitale) di riprendersi l'Urbe.
E' vero che a Milano il PD ha confermato il suo sindaco pur con uno striminzito 51,7% e che i renziani hanno conquistato Varese (ormai ex feudo leghista) oltre che confermato Bologna, ma in tutto il resto d'Italia è stata un'ecatombe per le mire del premier. Di Torino e Roma abbiamo detto, a Napoli non è andato neppure al ballottaggio mentre a Trieste il PD è uscito sconfitto nella sfida contro un pittoresco sindaco berlusconiano della prima ora, ora annoiato consigliere regionale dimissionario con il partito di Alfano (quindi in teoria filogovernativo), in grado di imbarcare e vincere con il peggio del peggio della destra xenofoba e razzista.
Il trend di crescita del M5S è spaventoso. Al primo turno +322% rispetto alle amministrative 2011 e ha vinto 19 ballottaggi su 20. E attenzione: le amministrative poco si addicono ai pentastellati, più bravi a intercettare voto di opinione e di protesta in tornate elettorali più svincolate dal territorio (politiche e europee) e dagli interessi localistici delle truppe cammellate al soldo dei signori delle tessere.
Dei 25 comuni capoluogo andati al voto, prima di due settimane fa 21 erano amministrati dal PD. Oggi ne restano solo 8. Una débacle senza paragoni nella storia repubblicana.
Questi dati stanno a significare tre cose
1) Gli italiani, più ancora che non i candidati sindaco di centrosinistra, hanno bocciato Renzi, i suoi atteggiamenti e il suo improbabile Governo.
2) Il referendum costituzionale di ottobre vedrà prevalere i NO e sarà verosimilmente la pietra tombale del renzismo.
3) Nel 2018 anche ammesso un fisiologico rallentamento del trend di crescita del M5S, è probabile che il prossimo premier sarà un grillino.
E tutto ciò avverrà anche solo semplicemente per un fattore anagrafico: il voto giovanile è ampiamente favorevole già da alcuni anni al M5S. L'inevitabile sostituzione di elettori anziani (in prevalenza la vecchia guardia comunista, gli orfani della dc e le casalinghe di Voghera berlusconiane) con i millennials porterà la forbice sempre più a favore del Movimento. A questo non si scappa a meno di miracolose politiche in grado di ridistribuire reddito e diritti tra vecchi e giovani.